Segni sul muro by Maria Bellonci

Segni sul muro by Maria Bellonci

autore:Maria Bellonci [Bellonci, Maria]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2024-02-07T12:00:00+00:00


Un corredo per Rodrigo

La notizia di un diario di Lucrezia Borgia trovato a Ferrara, ci spinse alla ricerca del ricercatore: un giovane prete, don Guido Turazzi, parroco di Ravalle, paesino a circa undici chilometri da Ferrara, sotto l’argine del Po. Nevicava; e poiché Ravalle è così piccolo borgo da non meritare nemmeno un cartello indicativo, fummo costretti a condurci con la macchina qua e là per le strade che rigano la gran pianura padana; sospinta dalla bora, intanto, la neve si posava a ondate orizzontali, come per tangenti di invisibili circoli, sul terreno già imbiancato.

Don Guido lo trovammo nella sua modesta casa annessa alla chiesa di Ravalle. Stava con la madre, vera donna di questi luoghi, sicura del fatto suo per aver allevato, vedova, cinque figli maschi: due sono preti, uno maresciallo dei carabinieri, un altro impiegato alle ferrovie; l’ultimo soltanto ha ereditato il mestiere col quale la madre ha guadagnato la vita per tutti, e fa l’ortolano. Nella cucina-tinello vagava un odore sostanzioso di brodo; era domenica, la tavola apparecchiata decorosamente. Don Guido Turazzi, che è solo ad avere il telefono in tutto il paesino (l’ufficio postale era chiuso), rassicurava una donna dopo aver telefonato per lei all’ospedale di Ferrara.

Un ambiente davvero familiare: da film neorealista, ed era facile dirlo osservando la cucinetta economica, la bicicletta in un angolo, il calendario dell’Azione Cattolica attaccato ad una parete; eppure il nome di Lucrezia Borgia entrava in quella stanza col peso dei suoi velluti e dei suoi segreti senza scomporla; quasi un sorriso veniva da quel nome: come se a lei piacesse, e senza dubbio le sarebbe piaciuto, che un sacerdote candido e quieto dicesse come diceva don Turazzi: «Era una brava donna di casa»: garantendo per lei.

Naturalmente i documenti ritrovati non sono un diario nel senso di una testimonianza intima e personale. Né poteva trattarsi di nulla di simile. Nel Cinquecento le donne, figurarsi le principesse, non confidavano mai alla scrittura i loro sentimenti, né veri, né truccati. E perché lo avrebbero fatto? Per dare la chiave di se stesse agli uomini che avevano ogni potestà su di loro? Il rispetto della personalità umana non era ancora stato inventato per le donne, soprattutto in Italia, e l’unico modo di tenere il segreto era quello di non comunicarlo; che è rimasto, dopo tutto, il solo modo sicuro.

I documenti che don Guido Turazzi ha trovato nella Curia arcivescovile di Ferrara dove si reca quasi ogni mattina venendo da Ravalle in bicicletta, e dove lavora nella sistemazione di antiche carte e pergamene, sono in verità piccolo bottino: pochi fogli di carta comune, ingiallita ma ancora sonante, che facevano parte d’uno di quei «registri di guardaroba» che conosce assai bene chi ne ha studiate annate intere all’Archivio Estense di Modena. Si tratta di registri che erano tenuti da guardarobieri addetti a quell’ufficio, i quali elencavano giornalmente le spese, i regali, i pagamenti, e le elemosine fatti a nome della loro signora. Ella stessa, poi, a fine mese, talvolta più spesso, firmava gli elenchi, approvandoli.



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